Disperatamente cerco qualcosa che mi dia il senso della vita, ma ogni qualvolta mi guardo
attorno non vedo altro che le macerie di questi ideali. Oggi arrivo a chiedermi se la vita
abbia veramente uno scopo. Che cosa mi può dire?
R. L'uomo erra nella foresta del divenire, corroso dal dubbio, dal conflitto e
dall'incompiutezza. In questo intero processo di solitudine e d'ignoranza cerca di
aggrapparsi a dei sostegni che noi chiamiamo ideali. Ma col tempo dovrà arrendersi
proprio perché gli sfugge il vero scopo dell'esistenza. Quale potrebbe essere questo scopo?
D. Penso, quello di comprendersi?
R. Che cosa intendiamo per comprensione? Vi prego, cerchiamo di afferrare assieme
questo concetto, altrimenti il nostro non è un dialogo realizzativo, ma una semplice
conversazione da salotto. Se a un individuo viene detto che la strada che sta seguendo è
senza alcuna uscita, che se desidera arrivare alla mèta deve prendere quella opposta e lui,
pur affermando d'aver capito, continua a percorrere il vicolo cieco, vuol dire che non ha
invero compreso.
Comprendere significa prendere con sé un dato, integrare un contenuto concettuale,
penetrare l'essenza di una cosa. Dunque, se comprendiamo la nostra vera Essenza, non
possiamo non essere quell'Essenza, in ogni luogo, tempo e causalità.
D. Questo atto del comprendersi richiede tempo, ritiro dal mondo e solitudine.
Come posso io, che lavoro quotidianamente e che mi trovo in questo mondo così frenetico,
giungere a quello stato favorevole?
R. Per comprenderci dobbiamo proprio ritirarci nella giungla o in montagna? Sia che
stiamo in città, in campagna o altrove, noi portiamo ovunque il nostro conflitto e la nostra
incompiutezza. Possiamo trovarci in alta montagna, circondati da solitudine, e avere una
mente irrequieta e tutt'altro che silenziosa; ciò può non accadere invece dimorando in
città. Il raccoglimento è un'attitudine mentale. La comprensione di sé non dipende dal
luogo e dal tempo; l'io, purtroppo, cerca sempre di evadere il problema di fondo.
Possiamo comprenderci quando siamo oberati dal lavoro? Chi è che lavora? Che relazione
c'è tra noi e il lavoro? Che cos'è il lavoro? Possiamo lavorare pur stando altrove con la
mente? Mentre camminiamo, per esempio, possiamo pensare a un qualunque
avvenimento? Scoprire tutto ciò significa comprendersi e questo processo lo si può
realizzare in qualunque condizione psico-fisiologica.
Questo
volume raccoglie una serie di domande e risposte tra Raphael e alcune
persone interessate alla "ricerca"; in esso c'è un sottofondo dominante
che si pone all'attenzione del lettore: l'origine del conflitto e la
conseguente sofferenza umana.
Il conflitto-sofferenza è essenzialmente
il risultato del divario tra ciò che l'uomo ha ed è e ciò che vorrebbe
avere ed essere. Quando tra queste due possibilità c'è concordanza
perfetta non può esserci conflitto.
Nelle sue risposte Raphael coinvolge lo
stesso interlocutore nella ricerca e nello svelamento dell'Ultima
Realtà. Egli presenta dimostrazioni serrate e stringenti, incalza
l'interrogante a retrocedere nel processo pensativo e ad allontanarsi
sempre più dalle "apparenze" fino a lasciarlo "senza sostegni". Alcune
risposte sembrano ardite, ma è bene considerare che Raphael si pone dal
punto di vista dell'Advaita.
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